Dalla lotta armata alla lotta per gli ultimi


Come la cooperazione sociale diventa una palestra di riscatto civile per molti ex detenuti – compresi numerosi ex militanti di Brigate Rosse e NAR – che trasformano l’impulso “rivoluzionario” in impegno quotidiano a favore dei più fragili.


Negli anni Settanta la violenza politica di sinistra e di destra eversiva lasciò ferite profonde. Oggi, a distanza di decenni, quelle stesse biografie possono diventare storie esemplari di riparazione: grazie alla cooperazione sociale di tipo B (l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate previsto dalla legge 381/1991) molti ex detenuti trovano non solo un’occupazione dignitosa, ma anche un nuovo senso nella partecipazione collettiva.

Dai comunicati clandestini ai bilanci sociali

  • Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse, dirige dal 1998 la cooperativa Sensibili alle foglie, che pubblica ricerche su carcere e marginalità.
  • Roberto Ognibene e Nadia Mantovani, un tempo colonna reggiana delle BR, oggi gestiscono l’associazione Verso Casa per l’accoglienza di detenuti in misura alternativa.
  • Lauro Azzolini, storico dirigente BR, presta servizio volontario in una cooperativa per persone con disabilità.
  • Mario Moretti, ex comandante BR, lavora come tecnico informatico in una coop milanese.
  • Renato Franceschini, ex componente storico del nucleofondativo delle BR,recentemente deceduto, che per un periodo ha anche collaborato con il CO.IN. e con l'ARCI

Nell’area neofascista, figure come Luigi Ciavardini (ex NAR) animano il progetto Gruppo Idee, che forma e colloca detenuti del Lazio in partnership con cooperative di servizi.

Perché il modello funziona

  1. Lavoro qualificante – pulizie ospedaliere, logistica, editoria sociale, call center, manutenzioni: mansioni concrete, retribuite, immediatamente utili.
  2. Governance democratica – la possibilità di diventare soci introduce alla responsabilità collettiva dopo anni di istituzionalizzazione.
  3. Riconoscimento sociale – impegnarsi “per gli ultimi” ridisegna l’identità personale e fa crollare la recidiva (meno del 5 % fra i lavoratori cooperativi, contro oltre il 60 % media nazionale).
  4. Rete territoriale – UEPE, magistratura di sorveglianza, comuni, associazioni: un ecosistema che accompagna davvero il ritorno alla cittadinanza attiva.

Le ombre che impongono vigilanza

La storia insegna che i “caratteri forti” non scompaiono con la detenzione. Figure carismatiche potrebbero replicare logiche di potere opache o strumentalizzare il marchio “inclusione”. Per questo la magistratura di sorveglianza e gli organi ispettivi regionali devono mantenere un presidio costante, affiancato da:

  • Trasparenza societaria: bilanci certificati, elenchi soci-lavoratori pubblici, open-data su appalti e convenzioni.
  • Verifica periodica dei programmi trattamentali: UEPE e tribunali devono controllare coerenza tra mansioni e obiettivi di reinserimento.
  • Formazione continua dei soci: per prevenire concentrazioni di potere e garantire governance realmente partecipata.
  • Controlli antimafia: per escludere infiltrazioni o scambi di favori che snaturerebbero la finalità mutualistica.

Un ponte di legalità, non un varco per nuove derive

La cooperazione sociale dimostra che riparare non è soltanto scontare una pena, ma restituire valore alla comunità. Ex militanti che un tempo imbracciavano le armi oggi spingono carrozzelle, catalogano libri, sviluppano software per servizi sanitari. Grazie a un lavoro solidale, la spinta utopica di ieri trova uno sbocco civile e concreto: se sorvegliata con rigore, può restare un patrimonio di legalità e non trasformarsi nell’ennesima occasione di distorsione.